Federico II di
Svevia e il cavallo ghibellino
iI Murgese, una storia italiana
Il dramma
dell'ultima razza cavallina
italiana sopravvissuta ad
un'autentica ecatombe.
di
Mauro AURIGI
tratto da SudEst n.9/2005
Fu il
provincialismo dei Savoia,
re d’Italia dal 1861 al 1946,
e il loro complesso di
inferiorità verso le maggiori
case regnanti d’Europa, come
quella inglese, austriaca o
prussiana, a determinare la
scomparsa di tutte le razze
cavalline italiane, fino ad
allora le più pregiate e
invidiate: in meno di un secolo
le fecero tutte inghiottire
dagli incroci con le razze
inglesi o teutoniche. Che queste
ultime, dal purosangue inglese
(Enrico VIII d’Inghilterra nel
primo Cinquecento) al
celeberrimo lipizzano (Giuseppe
II d’Asburgo alla fine del
Settecento), fossero state tutte
costituite con l’apporto
determinante di sangue di
cavalli italiani, soprattutto
meridionali, la dice lunga sulla
qualità delle nostre razze
pre-unitarie e sul livello
culturale di quella nostra casa
regnante.
Valga per tutte la dichiarazione
di un testimone d’eccezione:
Goethe, in tutto il suo
Viaggio in Italia tra 1700
e 1800, ossia in un mondo ancora
immerso nella cultura del
cavallo quale unico mezzo di
trasporto terrestre, non spende
mai una sola parola per i
cavalli in generale o per un
cavallo in particolare, tranne
una volta quando, giunto nel
nostro Meridione, davanti allo
splendore degli equipaggi e
delle cavalcature della nobiltà
partenopea scrive: “Mai mi
ero commosso davanti a un
cavallo … mai visti cavalli più
belli”.
Goethe
Ma a partire dalla metà dell’800
e in meno di cento anni, lo
Stato unitario, che per via
dell’uso militare del cavallo
era l’assoluto dominatore del
mercato, ha provocato la
scomparsa di quello
straordinario patrimonio
genetico, grazie alla
sostituzione degli stalloni di
razze italiane con quelli nord
europei. E’ sintomatico che i
residui stalloni italiani
approvati, prima della loro
definitiva scomparsa dagli
elenchi, non venissero più
indicati col nome della
rispettiva razza, ma con quello
più generico e – mi viene da
pensare – sprezzante di
“indigeni”. L’operazione fu
chiamata, senza ombra di ironia,
e si chiama, perché quella
cultura imperversa ancora,
miglioramento. Qualche
resistenza ci deve però essere
stata. Almeno un generale, il
grossetano Tommi Bruschieri,
nella seconda metà dell’800
criticò quell’operazione.
Sosteneva infatti, ed a ragione,
che gli esiti erano devastanti:
gli incroci perdevano la
nevrilità, l’intelligenza e la
rusticità tipiche delle razze
italiane. E a proposito della
rusticità, ossia della frugalità
e della resistenza a intemperie
e malattie, ci ricorda che la
mortalità per malattia dei
cavalli europei nella guerra di
Crimea nel 1855 (il Regno del
Piemonte vi partecipò con 4500
cavalli) fu del 33% per gli
inglesi, 27% i francesi e 11%
gli italiani.
Tanto per capire cosa abbia
significato quel “miglioramento”
basti sapere che ogni razza
italiana “migliorata” è oggi
praticamente rifiutata dal
mercato nazionale, quasi
interamente dominato da cavalli
stranieri, e assolutamente
sconosciuta all’estero, dove si
ritiene addirittura che l’Italia
non abbia più cavalli autoctoni.
La morale della favola è che
insieme al patrimonio genetico
equestre nazionale è risultata
distrutta anche la cultura del
cavallo che, com’è ovvio, era
anche la più avanzata
dell’Occidente. E’ così che il
nostro Paese, maggior
esportatore di cavalli di pregio
del mondo fino all’inizio del
1800, ne è oggi diventato il più
grande importatore: a fronte di
poco più di 700 cavalli
esportati annualmente per un
valore di 3 o 4 milioni di euro
ci stanno importazioni per più
di 50.000 capi per 50 milioni di
euro. Sono dati relativi a
questo periodo di grave crisi
economica perché negli anni
precedenti le importazioni erano
il doppio e anche il triplo per
numero e valore (fino a 150.000
capi importati l’anno) mentre le
esportazioni rimanevano sempre
limitate a poche centinaia di
capi. Che circa la metà dei
cavalli importati figuri come
“da carne”, è ininfluente: gran
parte di essi in realtà viene
dirottata al mercato dei cavalli
da sella. E il fatto che i
cavalli da carne degli altri
paesi, ossia lo scarto della
loro produzione, sia migliore
dei nostri attuali cavalli da
sella, è molto più eloquente di
tante altre analisi e
considerazioni sui danni inferti
al nostro allevamento equino.
Puglia, per millenni massima produttrice di cavalli della Penisola
Ecco perché in questo devastato
panorama il Cavallo della
Murgia, ossia il cavallo
interamente morello allevato
nella dorsale pugliese, assume
particolare rilievo: di tutte
quelle straordinarie razze
italiane, infatti, è l’unica
giunta sino a noi in purezza
ancorché numericamente assai
vicina al punto critico per la
sua sopravvivenza. Chiusa
com’era in un ambiente fino a
poche decine d’anni fa
abbastanza emarginato e poco
accessibile, se n’erano infatti
dimenticati. Cavallo già nobile,
in quanto in antico allevato
esclusivamente dall’aristocrazia
– sicuramente da grandi
feudatari come gli Acquaviva
conti di Conversano e i
Caracciolo duchi di Martina
Franca e prima ancora, come
vedremo, probabilmente da
Federico II di Svevia, forse
iniziatore della razza – il
murgese, grazie alla politica
allevatoriale dei Savoia, venne
declassato a cavallo da tiro e
agricolo e poi, con l’avvento
della meccanizzazione a metà
‘900, a cavallo da carne. E il
fatto che i Pugliesi siano in
Italia i massimi consumatori di
carne equina è stata la
fortunata coincidenza che ha
consentito a quella razza di
arrivare sino a noi. Cavallo da
carne, dunque, cavallo senza
valore, almeno per il mercato
della sella, ma, come vedremo,
si tratta invece di un cavallo
di gran pregio, certamente tra i
massimi mondiali almeno per
quanto riguarda il diporto, ma
non solo.
Il Cavallo della Murgia fa parte
della più grande famiglia del
Cavallo Napoletano, per secoli
il cavallo più famoso d’Europa.
Nel 1300 perfino il Boccaccio,
che conosceva bene Napoli
avendovi lavorato per 15 anni
alle dipendenze del fiorentino
Banco de’ Bardi, nel
Decamerone cita quella
città come sede di un
importantissimo mercato
internazionale di cavalli
d’eccellenza. Bisogna dire che
col nome di napoletani
in realtà non si identificavano
solo i cavalli allevati
nell’agro di Napoli, ma più
genericamente i celeberrimi
cavalli del Regno, ossia anche i
salernitani, i calabresi, i
siciliani e soprattutto le
quattro o cinque razze pugliesi.
La Puglia infatti è stata da
sempre la più importante
produttrice di cavalli di pregio
della Penisola. Alessandro Magno
teneva in gran conto la sua
cavalleria tarantina (l’agro
tarantino comprende anche un
pezzo di Murgia), mentre le
cronache ricordano che Annibale
si rifornì di ben 4000 puledri
in Puglia. I Pugliesi erano così
riottosi alla dominazione romana
e così forti a cavallo che
l’imperatore Valentiniano ne
proibì loro l’uso, pena la
morte: i Romani, in una sola
campagna di repressione
ammazzarono 7000 rivoltosi o
latrones, come
sbrigativamente li chiamavano (è
destino di tutti i resistenti,
dagli Apache ai contadini
meridionali che si ribellarono
ai Piemontesi, dai partigiani
italiani agli Iracheni di oggi,
essere definiti briganti,
banditi, terroristi, insomma
latrones).
Erano murgesi i cavalli di
Federico II Da
tempo sapevamo che Federico II
di Svevia fu un impareggiabile
allevatore di cavalli: la sua
cultura equestre dà ancora dei
punti a quella italiana odierna
e comunque per fama è solo
paragonabile a quella del greco
Senofonte. Ma oggi, da un saggio
dello storico Franco Porsia
dell’Università di Bari (I
Cavalli del Re, Schena
Editore, Fasano), apprendiamo
non solo che i cavalli
dell’imperatore erano i migliori
dell’epoca, tanto che,
considerati arma strategica, ne
era assolutamente proibita
l’esportazione dal Regno pena
punizioni gravissime, ma anche
che egli aveva proprio in Murgia
ben tre allevamenti. E questo
perché secondo lui, ed aveva
ragione da vendere, i cavalli,
per farsi zampe e zoccoli – la
cui qualità, checché oggi ne
pensino gli attuali “esperti”
nazionali, è prioritaria su
ogni altra – non dovevano essere
allevati nelle pianure verdi e
umide, ma sulle colline aride e
pietrose, come la Murgia,
appunto, luogo arido e pietroso
come nessun altro in Italia.
Inutile dire che la durezza
degli zoccoli dell’odierno
murgese non ha rivali. Di più:
nel suo celeberrimo trattato
De Arte venandi cum Avibus,
l’imperatore dà una descrizione
dei requisiti del cavallo da
falconeria che calzano come un
guanto sul murgese, il quale
infatti si adatta senza problemi
a quella nobile caccia, come è
stato scoperto recentemente
(quasi tutti gli altri cavalli
sono insofferenti alla presenza
e al volo del falco o
dell’aquila).
Anche
lo scudiero dell’imperatore, il
nobile Giordano Ruffo, nel suo
De Medicina Equorum
verosimilmente scritto su
istigazione di Federico, elenca
le caratteristiche fisiche del
cavallo ideale: esse, compreso
il posteriore più alto del
garrese, sono esattamente quelle
del murgese odierno. Purtroppo
né Federico né Giordano fanno
alcun riferimento al colore del
mantello probabilmente perché ai
due, giustamente, interessava la
funzione e non l’estetica del
cavallo, per cui il colore non
era un fatto degno di nota (ma
si sa che la cavalcatura più
amata dall’imperatore era
Draco, uno stallone
morello). A proposito del
mantello esiste una
testimonianza ufficiale
trecentesca della presenza anche
allora dominante di cavalli
morelli nella Murgia. Si tratta
del testamento della vedova di
Sparano da Bari: due terzi dei
suoi 30 cavalli a Altamura hanno
pilum maurellum.
Tra XV e XVI secolo tocca alla
repubblica di Venezia allevare,
sempre nella Murgia, i suoi
migliori cavalli (la masseria
della Serenissima, in agro di
Monopoli, si chiama ancora “la
Cavallerizza”). Nel 1600 la
corte di Madrid, la più
importante d’Europa ma le cui
razze erano in decadenza da
oltre un secolo, fa acquisti di
stalloni murgesi (con buona pace
di chi vuole il murgese derivato
da razze iberiche durante la
dominazione spagnola). Nel XVIII
secolo la corte più importante è
quella di Vienna, ed anch’essa,
per la sua Scuola spagnola
d’equitazione, si procura
stalloni murgesi, da due dei
quali, Napolitano e
Conversano, discenderanno
le due famiglie più importanti
della razza di Lipizza, a sua
volta la razza più famosa e
celebrata.
La cavalleria savoiarda umiliata
dai “briganti” pugliesi
1989 – Principe, stallone fuori razza (non registrato) di un allevatore
privato della Murgia
Nel secolo successivo sono i
Piemontesi che sperimentano,
loro malgrado, la qualità dei
cavalli della Murgia. Nel 1864
avevano istituito una
commissione parlamentare
d’inchiesta per indagare sui
motivi per cui l’esercito
piemontese, uno dei più
efficienti d’Europa, si era
dimostrato incapace di domare
quello che un po’ ipocritamente
era stato chiamato e ancora si
chiama brigantaggio
meridionale. In realtà si
era trattato di una rivolta
popolare esplosa nel 1860, che
assunse subito l’aspetto di una
guerra coloniale da parte dei
Piemontesi e partigiana da parte
dei Meridionali: in 5-6 anni,
5000 furono i briganti
uccisi, (i Savoia non si
distinsero a questo proposito
dagli imperatori romani), mentre
le perdite dell’esercito
piemontese, che raggiunse i
160.000 effettivi, non sono mai
state rese note (si parla di un
numero di morti superiore a
quello delle tre guerre
d’indipendenza contro l’Austria
messe insieme). Comunque fu
davanti a quella commissione che
il colonnello Chevilly dichiarò,
immagino abbastanza imbarazzato,
che “la cavalleria risultava
inutilizzabile nei boschi, sui
monti e in generale su tutti i
terreni fortemente accidentati
dove ugualmente i briganti
avventuravano le loro
cavalcature”. Ed è chiaro
che si riferisse soprattutto
alla Puglia dove le bande, a
differenza delle altre regioni
erano tutte montate.
Per la precisione il brigante
più famoso e agguerrito, l’unico
rimasto imbattuto, Carmine
Donatelli detto Crocco, operò
tra Matera e Andria, quindi in
piena Murgia, dove razziava i
cavalli per la sua banda (anche
3000 armati tutti montati). La
qualità di quei cavalli è
documentata da un testimone al
disopra di ogni sospetto,
Gaetano Negri, nobile milanese,
ex garibaldino e ufficiale della
cavalleria piemontese durante la
repressione del brigantaggio,
che assai di controvoglia
dovette ammettere a proposito di
Crocco e della sua banda: “Uomini
discretamente coraggiosi,
montati su eccellenti cavalli”.
Crocco
Come
si sa il Savoia vinse quella
guerra coloniale e da allora il
murgese è caduto nell’oblio (una
punizione da parte del
vincitore?). A nulla serve che
nel 1932 Pier Giovanni Bujatti,
uno dei massimi studiosi
italiani di zootecnia, riscopra
in Murgia la razza,
riconoscendone l’ancora forte
somiglianza sia di modello che
funzionale con le due
celeberrime famiglie lipizzane
Napolitano e
Conversano, discendenti dai
due stalloni murgesi sopra
ricordati. Ed a nulla serve che
una ventina d’anni dopo si
costituisca in Murgia, a Martina
Franca, anche l’associazione di
razza e che l’Istituto di
incremento ippico di Foggia e la
neonata Regione Puglia varino
programmi di sostegno alla razza
(compiono non pochi pasticci
perché puntano alla selezione di
un cavallo da carne; ma quali
alternative avevano se gli
Italiani compravano e comprano i
loro cavalli da sella
all’estero?). Insomma il Cavallo
della Murgia rimane
sostanzialmente uno sconosciuto.
Rocconigi
Donatello
1985 – Lo stallone Racconigi, il più
bel murgese che l’Autore abbia
mai visto, sottratto al macello
dall’avvocato Ferdinando Bruni
di Bisceglie, Bari, e impiegato
sia per la sella che gli
attacchi, il carro agricolo e
perfino l’aratro.
2009 - Lo stallone Donatello (pronto
per una caccia) a Sarteano,
Siena
Un cavallo forse unico al mondo
La situazione migliora un poco
quando al nord, nel 1979, un
gruppo di privati spinti
soprattutto da chi scrive che
aveva a sua volta “scoperto” il
cavallo grazie ad un quasi
ventennale soggiorno in Puglia,
si organizzano nella Compagnia
del Cavallo Ghibellino (così
denominata in omaggio
all’imperatore Federico II di
Svevia, capo del partito
ghibellino e, verosimilmente,
fondatore della razza). La
situazione era allora
drammatica. Nella stessa Puglia
non c’era un solo murgese
montato, a parte uno stupendo
stallone, forse il più bello
dell’epoca, strappato al macello
per puro caso dall’avvocato
Ferdinando Bruni di Bisceglie
(comunque fu poi rubato e
sicuramente finì lo stesso in
spezzatino) e un altro paio di
soggetti a Martina Franca in
mano ad un altro avvocato,
Giuseppe Marangi. Tutta la
produzione insomma finiva in
carne.
Anche la sua terra dunque
rifiutava il murgese e preferiva
fare ricorso a cavalli “di
pregio” d’importazione. E’
sintomatico che il primo
agriturismo equestre proprio in
Murgia adottasse i quarter
horse texani (le cui gambe
ovviamente furono letteralmente
distrutte dal duro calcare
locale affiorante ovunque). A
dire la verità sia in Puglia che
nel resto del mondo si ignorava
addirittura l’esistenza di
questo cavallo. Inutile cercarlo
nella letteratura specializzata
o chiederne agli esperti di
settore. La Compagnia ha quindi
il grande merito di avere
ri-svelato le grandi doti del
murgese.
Altro
che cavallo spregiativamente
agricolo e da carne come
pensavano i pochissimi che
sapevano della sua esistenza, o
cavallo da tiro come lo
classificava l’Istituto di
incremento ippico di Foggia! Era
invece un sontuoso e fortissimo
cavallo rinascimentale con tutte
le caratteristiche tipiche:
aspetto magnifico, docilità
assoluta anche negli stalloni
(anzi, gli stalloni perfino più
docili all’addestramento delle
femmine), muscolatura imponente
su un telaio osseo di grande
sostanza, zoccoli così duri da
poter lavorare sferrati,
rusticità senza pari per la più
che millenaria usanza di vivere
all’aperto senza protezione
alcuna in qualsiasi stagione e
senza vaccinazioni né assistenza
veterinaria, e poi infine un
lucente mantello nero corvino
quasi unico al mondo. Ma sono
soprattutto la docilità, l’addestrabilità
e il coraggio che
contraddistinguono la razza: uno
stallone indomito è pronto in
due mesi, dopodiché può essere
utilizzato anche nel caos del
traffico delle nostre strade
come nei sentieri più impervi
del nostro interno oppure, con
un addestramento specifico,
nell’equitazione di scuola.
1988 – Il veterinario e
cavaliere Marco Roghi sullo
stallone Trovatore
E infatti nel novembre del 1990
la Compagnia del Cavallo
ghibellino si presenta alla
Fiera Cavalli di Verona con
dieci stalloni dai tre ai sette
anni, montati da un maestro e da
9 dilettanti, per lo più ragazzi
(sul mio Trovatore,
Alessandra Misciattelli, una
bambina di 11 anni), che nelle
tre serate del Gran Gala si
esibiscono fianco a fianco in
carosello e equitazione di
scuola: sicuramente lo
spettacolo più entusiasmante di
quella edizione. E’ grazie a
quel battesimo del fuoco se oggi
finalmente e per la prima volta
nella storia un’enciclopedia
equestre inglese annovera anche
la murgese tra le altre razze e
se un murgese può esibirsi nel
maneggio reale di Stoccolma.
1990 – I dieci stalloni della
Compagnia del Cavallo ghibellino
in spettacolo alla Fiera Cavalli
di Verona
Tuttavia la strada rimane in
salita. Nonostante una storia
(nessun’altra razza al mondo
probabilmente ne ha una così
prestigiosa ed avventurosa) che
da sola è già una certificazione
di caratteristiche fisiche e
psicologiche di assoluto pregio
e forse insuperabili, questo
cavallo rimane sostanzialmente
del tutto trascurato e
emarginato. Su 100 cavalli da
diporto (che in Italia sono
forse mezzo milione) sì e no una
decina saranno di razza
straniera nati in Italia, mentre
gli altri sono tutti di
importazione. I murgesi,
completamente assenti dalla
sella fino all’arrivo della
Compagnia del cavallo
ghibellino, oggi saranno
presenti nel rapporto forse di 1
su 1000.
Fare del cavallo ghibellino il
Cavallo nazionale italiano
Eppure
il Cavallo della Murgia, proprio
perché unica razza italiana
sopravvissuta in purezza, merita
di essere elevato alla dignità
di Cavallo Nazionale Italiano.
E’ ciò che ha fatto il governo
spagnolo col Cavallo
dell’Andalusia, per molti versi
simile al murgese (ha certamente
origini rinascimentali) che ora
si chiama ufficialmente Cavallo
di Pura Razza Spagnola e che,
sostenuto anche da una forte
azione promozionale, si è
conquistato un importante
mercato internazionale (è tra i
cavalli da diporto più importati
in Italia) diventando uno dei
cavalli più famosi del mondo.Ma
più o meno la stessa cosa è
avvenuta in tutti i Paesi dove
forte è il senso nazionale: in
Francia come in Spagna, in
Inghilterra, negli USA, in
Portogallo, in Brasile, in
Argentina, in Irlanda, in
Germania ecc. In Spagna o negli
USA, come negli altri paesi, i
corpi armati montati cavalcano
esclusivamente il cavallo
nazionale, menandone gran vanto.
In Italia invece succede, somma
vergogna, che i Granatieri
vadano fieri dei loro irlandesi,
la Polizia dei polacchi, i
Carabinieri dei portoghesi
(montano anche i lipizzani,
cavalli austriaci finiti in
Italia per il trattato di pace
dell’ultima guerra). Unica e
modesta eccezione, le Guardie
Forestali che in qualche caso
usano i murgesi. E non c’è paese
al mondo dove il turismo
equestre si faccia con cavalli
di altri paesi, tranne in Italia
dove si fa esattamente
l’opposto, montando solo cavalli
di tutte le origini, tranne che
italiani.
(sopra) 1989 – ULISSE,
stallone murgese dell’Istituto
di Incremento ippico di Foggia (IRIIP)
(sotto) Foggia 2004 - i murgesi
in dotazione al Corpo Guardie
Forestali
Spetta ovviamente alla PUGLIA
l’onere e l’onore di
un’iniziativa analoga a quella
spagnola: fare del murgese il
Cavallo nazionale italiano. Non
c’è bisogno di spendere troppe
parole per spiegare cosa ciò
comporterebbe: l’uso ufficiale
del murgese da parte dei nostri
corpi montati provocherebbe un
eccezionale rilancio della sua
immagine non solo nazionale (si
pensi ad un intero squadrone di
carabinieri in alta uniforme su
stalloni morelli) con immediate
ripercussioni sul mercato. E un
mercato vivace è la sola
speranza di sopravvivenza per
qualsiasi tipo di prodotto,
senza contare cosa comporterebbe
un allargamento della base
produttiva in termini di ripresa
della selezione sia di modello
che funzionale. Sembrerebbe, e
in effetti è, un’impresa di
facile realizzazione, ma con
poche speranze, perché ancora
una volta i problemi vengono
proprio dalla Puglia che sembra
muoversi nella direzione
opposta.
foto del 1932 - Deposito Cavalli
Stalloni di Foggia (IRIIP)
progettato dall’Architetto
Accademico d’Italia Marcello
Piacentini.
Per far posto all’università si
sta infatti smontando l’Istituto
regionale di incremento ippico,
l’IRIIP (in Italia ce ne sono
solo otto) cacciandolo dalla sua
prestigiosa sede di Foggia in
chissà quale riposto angolo
della regione. La cosa ha
sollevato una saggia e vivace
reazione a Foggia, che si spera
riesca a bloccare tale sciagura.
La Regione non sembra rendersi
conto che l’esistenza di una
specialissima razza di cavalli,
anche senza voler tenere conto
dei vantaggi per l’economia
locale,
non può che portare prestigio e
visibilità alla cultura e al
colore locali. Si pensi ai
bianchi cavalli di Vienna, a
quelli del west, agli arabi,
agli andalusi, mentre i Land
tedeschi, se una razza locale
non l’hanno, se la inventano di
sana pianta derivandola da
altre. Si pensi che da noi,
invece di valorizzare le nostre
pregiatissime razze tipiche
autoctone, si è fatto e si fa il
possibile per eliminarle (anche
l’Istituto incremento ippico
della Campania a S.Maria Capua
Vetere minaccia la dispersione
di quel pochissimo che è rimasto
di antiche e prestigiose razze
italiane come la “salernitana” e
la “Persano”).
Se quel progetto non viene
bloccato Foggia subirà un danno
irreversibile sul piano
urbanistico (cosa di cui Foggia
non aveva assolutamente bisogno:
chi conosce le caratteristiche
architettoniche e urbanistiche
dell’IRIIP sa di cosa parlo), ma
ancor peggio sarà il danno
inferto alla razza. E’ il cuore
stesso del patrimonio genetico
del Cavallo della Murgia che
viene emarginato, quei cinquanta
stalloni murgesi dell’IRIIP che
rappresentano il vertice della
selezione e che sono autorizzati
a fecondare le circa mille
fattrici in razza e dai quali
dovrebbe discendere (il
condizionale è ormai d’obbligo)
tutta la futura progenie. Anche
se non ci fossero contraccolpi
sul piano tecnico (ma ci
saranno: non esistono altri siti
in Puglia adatti ad accoglierli
decentemente, perché 50 stalloni
hanno esigenze che possono
essere soddisfatte solo in un
ambiente che abbia il fascino,
le superfici e le attrezzature
che ci sono solo a Foggia), ce
ne saranno sicuramente in
termini d’immagine. E l’immagine
è tutto soprattutto per un
prodotto come il cavallo: senza
immagine non si ha mercato e
senza mercato non rimane che una
destinazione, il macello. Oppure
l’estinzione, ma non vedo la
differenza. E così la Puglia, e
con essa il Paese, rischia di
perdere un patrimonio unico
nella sua specie che non è solo
materiale ma anche e soprattutto
culturale.
Ecco come, con un finale
all’italiana o, se si vuole, con
un crimine culturale
all’italiana, potrebbe
concludersi una bella storia
durata quasi mille anni. Ai
Pugliesi e solo a loro il
compito di impedirlo.
(*) Mauro Aurigi,
senese, sessantacinquenne, ex
responsabile del Credito Agrario
del Monte dei Paschi di Siena, è
un estimatore e conoscitore
della razza cavallina della
Murgia, della quale ha
approfondito la ricerca storica
ed alla quale ha dedicato una
nutrita serie di articoli sulla
stampa specializzata, nonché un
robusto contributo alla sua
diffusione.
---oooOooo---
COS’E’ IL CAVALLO DELLA MURGIA
(scheda)
di Mauro AURIGI
MURGESI
La razza non si presta a facili
catalogazioni. Vi sono
contemporaneamente presenti tipi
mesomorfi, decisamente a sangue
caldo, insieme ad altri più
imponenti e di nevrilità più
contenuta: le stature variano
dai 140 ai 160 cm per le femmine
e dai 145 ai 165 per gli
stalloni (il castrato è
praticamente inesistente), ma
qualche soggetto raggiunge e
supera i 170 cm. Stature quindi
anche di buon rilievo se si
considera che il murgese ha un
garrese poco o nulla pronunciato
(5-10 cm. meno degli altri
cavalli). Lo standard ufficiale
elimina dalla selezione i
soggetti inferiori ai 150 cm.
nelle femmine e i 155 nei
maschi, ma è un errore frutto di
miopia: la razza è quella che è
e tutti gli interventi tesi a
modificarla producono solo danni
(che qui sarebbe troppo lungo
analizzare): un cavallo va
valutato prima di tutto sul
piano funzionale, cosa che non
si fa nelle razze italiane (da
qui il loro basso livello
qualitativo) e poi per il
modello.
Comunque le caratteristiche che
seguono, riferite ad uno
stallone medio, sono comuni a
tutta la razza.
2008 -
Alessandro Tameni e lo
stallone Max che alla
Fiera
Cavalli di Verona hanno battuto
i cavalieri spagnoli
nel
Concorso nazionale di alta
scuola spagnola
(Photo
By Belleballe)
Aspetto generale:
è quello di un cavallo di grande
nobiltà e di grande scena, dal
portamento sontuoso, il tutto
esaltato da una smagliante
livrea nera corvina: nel
complesso è estremamente
gradevole a vedersi tanto che lo
si sente spesso definire come il
cavallo più bello del mondo.
Mantello:
morello zaìno (esiste una
limitatissima varietà grigio
ferro con testa, arti e crini
neri, frutto, pare, della
riimmissione di sangue lipizzano
in epoca recente). L’epidermide
forte e spessa, più vicina alla
canapa che alla seta dei
purosangue arabi e inglesi, è
responsabile della grande
resistenza del murgese non solo
ai rigori invernali e alla vampa
estiva, ma anche agli insetti e
alla ruvidità della macchia
mediterranea.
Conformazione:
- testa in genere
piuttosto pesante, stretta ed
allungata, talvolta montonina,
con ganasce cariche (non mancano
però soggetti con teste più
leggere e rettilinee);
- collo ampio, muscoloso
ed arcato, fornito di abbondante
criniera, innestato piuttosto in
alto in modo da assorbire il
garrese, già di per sé poco
pronunciato;
- tronco possente e
muscoloso esente da insellature,
con torace alto e profondo,
petto largo, spalla giustamente
obliqua, groppa corta e
rotondeggiante, talvolta
spiovente: termina con una coda
ben attaccata e fornita di peli
lunghi e abbondanti;
- arti esenti da tare,
muscolosi ed asciutti, stinco
piuttosto corto e grosso (supera
spesso i 22 cm.) con tendini
staccati e ben sviluppati;
giunture larghe e secche,
pastorale di giusta lunghezza e
direzione, gambe lunghe e dritte
con accentuata apertura del
garretto tanto da determinare
un’altezza della groppa
superiore al garrese;
- il piede del murgese
possiede qualità eccezionali: di
proporzioni regolari, è
rivestito da un corno nero
durissimo (frequente è l’uso di
cavalli sferrati) che si
conserva esente da qualsiasi
tara quali setole, cerchiature
ecc., ma al contempo
sufficientemente elastico tanto
che è molto difficile
riscontrare incastellature.
Costituzione:
la selezione provocata dal
difficile ambiente dove viene
allevato brado e la totale
assenza di qualsiasi intervento
sanitario (vaccinazioni,
sverminature), gli ha conferito
una costituzione ed una
resistenza alle malattie
notevoli. Le affezioni organiche
quali la bolsaggine e le
malattie intestinali sono
pressoché sconosciute in questi
cavalli.
Temperamento:
il murgese è un cavallo
docilissimo (lo stallone
addirittura è normalmente più
docile della femmina e si monta
regolarmente senza problemi
anche in presenza di altri
maschi o femmine): questa
particolare qualità è spiegata
dal fatto che la sua origine
risale ad un periodo in cui solo
i maschi non castrati (le
femmine erano destinate
esclusivamente alla riproduzione
allo stato brado per cui non
venivano addestrate) erano
selezionati per
qualità particolari di
temperamento che permettessero
di educarli
facilmente al duello in
battaglia, ai tornei e ai
complessi esercizi d’alta
scuola. Difficilmente questo
cavallo (stiamo parlando di uno
stallone) fa uso di difese,
mentre si abitua con grande
facilità all’uso della sella e
dei finimenti.
Rusticità:
il clima delle Murge, sano ma
torrido d’estate e rigido
d’inverno per l’indifesa
esposizione ai venti dei
Balcani, che tempra il suo
organismo, e l’abitudine di
nutrirsi in pascoli poveri e
dissetarsi con acqua che
malamente altri cavalli si
adatterebbero a bere, hanno
conferito a questo cavallo la
grande rusticità che gli ha
consentito, dopo il passaggio
avvenuto nella seconda metà del
1800 dagli allevamenti
nobiliari, ormai orientati verso
il cavallo nord-europeo, a
quelli popolari (traino e aratro
e poi la carne), di sopravvivere
all’ecatombe di tutte le altre
razze italiane.
Roberta Imana e Macina,
campionesse di monta da lavoro
(2006) e dressage (2009)
Nel complesso, dunque, un
cavallo da alta scuola equestre,
ma anche eccezionalmente vocato
all’escursionismo in ambienti
difficili. A questo proposito
non possiamo sottacere che
l’eccezionale sviluppo
dell’agriturismo di questi
ultimi anni ha fortemente acuito
la necessità di cavalli da
campagna, soddisfatta, al
solito, con cavalli
d’importazione di qualità
largamente inferiore al murgese.
m.a.
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LA
VERSATILITA' DEL CAVALLO
MURGESE
FOTO
(a
sinistra) - 2004 Fieracavalli
Verona stand delll'Istituto
Incremento Ippico di Foggia –
Direttore dott. Roberto
Benvenuto con
NUME,
stallone murgese
(sotto) -
2004 Fieracavalli Verona -
Carosello del gruppo:
IL NERO LUMINOSO
Il NERO
LUMINOSO a
casa loro in Puglia
Fieracavalli Verona –
stallone Murgese
Martina Franca:
NOBILE,
murgese (monta
western) |
Murgese:
3°class.- gara di
fondo a Torgnon
(Valle d'Aosta)
|
femmina murgese
saltatrice - piede sicuro e
senza paure... :-)
|
Falconiere su
stallone murgese
|
MURGESI - Gare di
Cross (attacchi a
uno)
|
|
MURGESI del Deposito
Cavalli Stalloni di
Foggia (IRIIP) -
attacco a 4 |
Cavalli Stalloni
MURGESI
dell'Istituto
Incremento Ippico di
Foggia (IRIIP) |
Per approfondire sul
caso IRIIP (Deposito cavalli
stalloni di Foggia):
www.foggiaweb.it/cavallistalloni
-
www.iriipfoggia.it
per contatti
con il Comitato per la
salvaguardia dell’IRIIP
(Istituto Regionale Incremento
Ippico di Foggia) e del suo
Parco-equestre:
Su Facebook:
http://www.facebook.com/group.php?gid=177651250638&ref=ts
Franco CUTTANO
- cell. 320.2514797
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Sito web:
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